Nel mio ultimo post avevo iniziato a ragionare sul tema del continuum di percezione creato dal Metaverso, che già ci consente di lavorare, comprare e interagire con gli altri attraverso il nostro avatar.
Quello che nel 1974 gli informatici Paul Milgram e Fumio Kishino ipotizzavano come Mixed Reality, è diventato quello che Luciano Floridi ha chiamato onlife, una vita ibrida cioè, in cui non vi sono più barriere tra virtuale e reale.
Se consideriamo poi, che molte aziende – tra cui la stessa Meta – stanno lavorando ai cosiddetti guanti aptici, la continuità tra esperienza reale e virtuale diventerà ancora più evidente: si introduce infatti la possibilità di riprodurre sulla pelle di chi li indossa le sensazioni tattili che si percepiscono toccando qualcosa materialmente presente. Anche una semplice stretta di mano nel metaverso diventerà molto realistica, e sempre meno “virtuale”
Avatarizzazione delle esperienze
Nel quotidiano i nostri umori, le nostre interazioni, i nostri comportamenti sono condizionati da quello che succede nel mondo online. Con queste premesse, è opportuno cominciare a chiedersi come, per tecnologie che evolvono a tale velocità, si possa far rispettare i principi etici, valoriali e culturali al pari di come avviene nella realtà tradizionale. Del resto, il Metaverso rappresenta una dimensione ancora in fase di costruzione, che non sappiamo con certezza quali dinamiche sociali e psicologiche sarà in grado di generare. Possiamo solo fare delle ipotesi sulla base della letteratura scientifica di cui disponiamo e di alcuni episodi che sono già avvenuti. Come il caso di Nina Jane Patel, una psicoterapeuta di Londra che poco dopo essere entrata con il suo avatar in un ambiente virtuale ha subito molestie verbali e sessuali da parte di alcuni utenti; oppure il caso analogo della gamer Chanelle Siggens, che in un articolo del New York Times ha raccontato di essere stata aggredita da un altro avatar.
Il Proteus Effect
Persino l’aspetto del nostro avatar influenza l’esperienza nel mondo reale. È quanto emerge dagli studi di Nick Yee e Jeremy N. Bailenson che hanno teorizzato il cosiddetto “Proteus effect”. Gli studiosi della Stanford University hanno infatti notato come alcuni elementi esteriori degli avatar assegnati ai partecipanti ai loro esperimenti – come l’altezza o la bellezza – hanno avuto impatto non solo nei modi con cui interagivano con gli altri alter ego digitali, ma anche sul loro senso di fiducia al di fuori del gioco: i soggetti i cui avatar apparivano belli in ambiente virtuale si relazionavano con più facilità anche in ambiente tradizionale.
Il modo in cui ciascuno di noi reagisce a una situazione dipende dalla costruzione dei significati che attribuiamo alla situazione stessa (legati inevitabilmente alla storia personale e alla rappresentazione che ciascuno ha di sé e dell’ambiente circostante). In quest’ottica, l’esperienza positiva o negativa – anche di un utente in ambiente virtuale – non dipende unicamente dalle potenzialità tecniche dello strumento, ma dalla possibilità di creare continuità emotiva e psicologica tra l’esperienza virtuale e la costruzione della nostra identità. Così come siamo influenzati da quanto ci succede nel mondo “analogico”, allo stesso modo potremmo esserlo dalle nostre rappresentazioni digitali, cambiando comportamento e percezione di noi stessi. E questo vale per tutte le dimensioni della nostra vita: familiare, sociale, lavorativa.
Salire sulla nave prima che salpi
Il Metaverso e la sua tecnologia possono offrire soluzioni di crescita esponenziale, nobile addirittura. Ma cosa succede all’uso e riuso di informazioni, dati e interazioni scambiate in ambente virtuale? Se è vero che ci possiamo già lavorare, creare documenti e scambiarli, tenere meeting, quali tutele regolamentari è necessario mettere a disposizione degli utenti (come fruitori, acquirenti, lavoratori)?
Same old story, verrebbe da dire. Spesso, ci si trova in difficoltà nel tentativo di regolamentare un progresso tecnologico che procede sempre a grande velocità, e che produce le sue conseguenze prima che possa essere governato. È successo con i dati, dove la regolamentazione ha rincorso la nave quando ormai era già salpata (forse era già in mare aperto). Il dibattito sulla regolamentazione del Metaverso non potrà limitarsi semplicemente al campo del diritto, ma dovrà coinvolgere vari settori: economico, scientifico, ma soprattutto psicologico, etico e filosofico. Si tratta forse addirittura di immaginare le regole sociale di quella che sembrerebbe quasi essere una nuova civiltà che potrebbe essere sul punto di nascere.
E, poi d’altronde, la chiave è ancora la consapevolezza delle persone. Il processo che fa sì che ognuno impari a capire i propri processi cognitivi, decisionali emotivi. Il proprio personale percorso verso la realizzazione individuale. Consapevolezza dei comportamenti corretti da seguire, dei dati che concediamo ma, soprattutto, di come la partecipazione al mondo ibrido in cui stiamo entrando cambia le nostre prospettive, percezioni, comportamenti e capacità decisionali.
Biografia principale
- BailensonJ. N., Ducheneaut N., Yee N., The Proteus Effect: Implications of Transformed Digital Self-Representation on Online and Offline Behavior – Human Communication Research, 2009
- Floridi L., La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo– Raffaello Cortina Editore, 2017
- Kishino F., Milgram P., A taxonomy of mixed reality visual displays – IEICE TRANSACTIONS on Information and Systems, 1994
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