L’introduzione dell’AI generativa spinge le PA verso il modello del Post-digital Government, che sottolinea l’importanza dell’empatia (cognitiva, emotiva ed esperienziale) nella comprensione delle esigenze dei cittadini e dell’uso dei dati per personalizzare servizi e soluzioni. Scegliendo questo modello, il sistema pubblico si impegna ad assumere la guida trasformativa dell’intero ecosistema in cui si inserisce, dettando la rotta di una innovazione sostenibile, accessibile e inclusiva. È una sfida che richiede una nuova cultura organizzativa, incentrata su formazione, condivisione di conoscenze e sviluppo di leadership
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Il processo di trasformazione iniziato con la digitalizzazione – ovvero la trasformazione in numeri di fenomeni fisici, logici, umani e sociali e la loro successiva e conseguente elaborazione con sempre maggiore capacità di calcolo – è attualmente entrato in una fase successiva, potenzialmente ancora più radicale, grazie allo sviluppo e alla diffusione delle intelligenze artificiali, in particolare quella generativa[1].
La frequenza delle innovazioni è tale per cui già nell’immediato futuro non sarà più possibile per nessuno immaginare di utilizzare tutte le innovazioni che diventeranno via via disponibili, semplicemente perché saranno troppe e con un raggio di azione troppo ampio. Le organizzazioni, quindi, dovranno diventare capaci di scegliere quelle più adatte al proprio contesto e al proprio business. Le loro capacità di adattamento e cambiamento (resistendo in questo modo all’obsolescenza) dipenderà allora prevalentemente dalla cultura aziendale che saranno capaci di sviluppare, tenendo anche conto dell’ecosistema in cui operano. L’efficacia di un’innovazione consisterà, dunque, nella capacità del sistema organizzativo di trasformarla in valore, utilizzandola propriamente e consapevolmente.
L’introduzione dell’AI generativa sta accelerando questo processo. Sarà un’innovazione irrinunciabile, capace di trasformare velocemente il contesto, come lo sono stati il World Wide Web negli anni ‘90 e gli smartphone nei primi anni 2000, ma con un tempo di tolleranza all’adeguamento molto inferiore. In altri termini, l’adozione e lo sviluppo dell’AI nei propri processi aziendali non è più un tema informatico, quanto, piuttosto, una scelta strategica, peraltro irrinunciabile.
Questo è il contesto con cui oggi le Pubbliche Amministrazioni devono confrontarsi per andare verso la definizione di un nuovo modello, dove la digitalizzazione è già (solo) un prerequisito necessario, mentre il tema in discussione riguarda il ruolo di quello che viene definito Post-digital Government[2].
Il modello della PA Post-digitale
Nel modello del Post-digital Government le Pubbliche Amministrazioni devono essere in grado di utilizzare i dati per creare valore tangibile per i cittadini, comprendendone e anticipandone i bisogni e personalizzando servizi e soluzioni.
Questo approccio, che pone al centro della PA Post-digitale la persona, con i suoi bisogni, i suoi diritti e le sue aspettative, è realizzabile mediante il presidio di alcune dimensioni rilevanti, in particolare:
- L’empatia (cognitiva, emotiva ed esperienziale) che presuppone la conoscenza e l’anticipazione delle esigenze di cittadini e imprese, sulla base dei dati disponibili e della loro elaborazione;
- Il valore che la PA può generare e misurare rispetto alla collettività, grazie all’utilizzo dell’AI;
- La fattibilità delle soluzioni tecnologiche e organizzative realizzate, considerata secondo tre dimensioni fondamentali. La prima è, ovviamente, la maturità delle innovazioni disponibili. La seconda riguarda le competenze delle persone che lavorano nella PA e la loro capacità di garantire tali soluzioni, assicurando la coerenza, la qualità e la non discriminazione, governando gli algoritmi, i dati e i risultati del loro utilizzo. Infine, la fattibilità passa per le competenze digitali dei cittadini e conseguentemente la disponibilità di soluzioni che consentano di non escludere chi non abbia accesso alla fruizione dei servizi digitali, assicurando coerenza a tutte le forme di erogazione in ottica di inclusione.
Il presidio di queste dimensioni permette lo sviluppo di una società in cui le persone rimangono il centro dell’intero ecosistema e favorisce, nel tempo, una sempre più diffusa consapevolezza delle potenzialità e del corretto utilizzo della tecnologia.
L’empatia
L’empatia è la capacità di usare i dati per comprendere e anticipare i bisogni dei cittadini e, come capacità organizzativa, è il reale fattore di successo per questo nuovo modello, che, dunque, è prima di tutto un modello culturale. È importante sottolineare come la pratica dell’empatia nelle organizzazioni non può ridursi allo svolgimento in sé di concetti e metodologie ispirate solo a user experience, customer experience, journey mapping e altre pratiche in uso, ma diventa un nuovo modo di intendere l’azione amministrativa, utilizzando tecnologie e dati che diventano canali di ascolto attivo delle esigenze, delle intenzioni, delle preferenze e delle emozioni dei cittadini, nonché strumento per offrire azioni che le persone percepiscono come utili, positive e risolutive.
L’empatia è coniugabile in tre diverse caratterizzazioni: cognitiva, emotiva ed esperienziale.
L’empatia cognitiva attiene alla comprensione delle possibilità che la PA mette a disposizione dei cittadini e passa per azioni concrete, come comunicare opportunamente i vantaggi e le possibilità connessi con le decisioni amministrative, disegnando i servizi in modo che i destinatari possano comprendere il modo in cui saranno in grado di rispondere alle loro esigenze.
L’empatia emotiva riguarda l’esplorazione dei sentimenti, in particolare le paure e le incertezze, che le persone manifestano. Questa esplorazione potrebbe essere condotta per mezzo di mappature empatiche, ovvero indagini che riportano le emozioni provate dall’utente durante una procedura amministrativa, evidenziando i momenti più critici del processo e promuovendo in tal senso la comprensione e l’anticipazione delle risposte emotive degli utenti.
L’empatia esperienziale, infine, riguarda la capacità di usare i dati e l’IA per indirizzare servizi o le politiche in modo che riesca ad anticipare i bisogni o risolvere problemi potenziali prima che si manifestino.
Alcuni esempi
L’utilizzo dell’IA seguendo un approccio di tipo empatico si sta diffondendo in Europa e vede la nascita e lo sviluppo di numerose soluzioni che al momento sono prevalentemente allo stato sperimentale o prototipale. Solo a titolo esemplificativo, è interessante segnarne tre, molto diverse tra loro.
Kratt: L’AI che aiuta i disoccupati in Estonia
In Estonia è stato implementato un sistema di intelligenza artificiale in grado di prevedere le probabilità che una persona disoccupata trovi un nuovo lavoro. Questo applicativo, che porta il nome di Kratt, una creatura mitologica estone che custodisce tesori, aiuta l’Ufficio Estone per la Disoccupazione (EUIF) a fornire consigli efficaci e personalizzati ai cittadini alla ricerca di un lavoro. In particolare, il sistema è progettato per analizzare la situazione delle persone restituendo un calcolo sulla probabilità di trovare un impiego e le possibili azioni da porre in essere per aumentare tale probabilità, ad esempio imparando una lingua, aumentando la propria conoscenza informatica, ampliando il novero dei percorsi professionali a cui si è interessati. L’algoritmo è pensato come un supporto per gli agenti di EUIF nella loro funzione di consulenza. Lo strumento è stato sviluppato in collaborazione con il Centro di Studi sull’Impatto dell’IT (CITIS), la società di consulenza strategica Nortal e la società di analisi dati Resta, ed è diventato operativo da ottobre 2020 dopo essere stato testato negli uffici dell’EUIF per sei mesi, dimostrandosi efficace nell’aiutare le persone a reinserirsi nel mondo del lavoro[3].
La gestione dell’emergenza Covid-19 con l’healthcare bot di Microsoft
Nel corso dell’emergenza sanitaria causata dalla pandemia, Microsoft ha attivato una collaborazione con diversi enti pubblici e organizzazioni a livello globale (tra cui spiccano, in Italia, l’INMI Lazzaro Spallanzani, Croce Rossa Italiana e Pagine Mediche) che hanno garantito agli utenti l’accesso a informazioni scientificamente rigorose per informarli e guidarli, durante l’emergenza, all’autovalutazione dei sintomi del Covid-19. Tali applicativi, alcuni di questi ancora in uso come quello di Pagine Mediche, hanno ottenuto risultati molto incoraggianti. In un solo mese il bot ha offerto consulenza a 18 milioni di persone e gestito circa 160 milioni di messaggi. In dieci giorni sono quasi 10 mila le persone che ne hanno beneficiato in Italia – con una mole di oltre 42 mila messaggi – riconoscendo l’utilità dello strumento (89%)[4].
Robotto: l’AI Danese che previene gli incendi
La startup danese Robotto ha sviluppato un drone dotato di una tecnologia AI che consente di individuare gli incendi in tempi rapidissimi, tracciarli e monitorarli, grazie ad una termocamera, velocizzando gli interventi sul posto dei Vigili del Fuoco.
Robotto ha creato la tecnologia nel 2018, quando i suoi fondatori hanno assistito ai gravi incendi susseguitisi in Grecia, Svezia e California – quando le operazioni di spegnimento delle fiamme sono state rallentate dalla difficoltà dei Vigili del Fuoco ad ottenere una visione di insieme della situazione.
Questa tecnologia è attualmente integrata nelle operazioni dell’unità antincendio d’élite GRAF della Catalogna, e utilizza l’intelligenza artificiale in maniera predittiva, consentendo di anticipare le azioni da intraprendere e permettendo alle organizzazioni di anticipare le loro azioni – ciò costituisce un importante esempio di empatia nella sua dimensione esperienziale[5].
Creare valore per i cittadini
Praticare l’empatia significa orientarsi ai cittadini. È quindi importante che l’analisi delle esigenze fondamentalmente connesse con l’ascolto attivo si coniughi con l’effettiva capacità dell’ente pubblico di creare valore tangibile nella vita delle persone, producendo servizi, aumentando produttività ed efficienza, riducendo potenziali rischi, promovendo innovazione, sostenibilità, equità, inclusione nel sistema in cui opera.
L’utilizzo dell’IA nella pubblica amministrazione, come è stato osservato, si sta infatti sviluppando prevalentemente in tre ambiti[6]:
- Introdurre nuovi servizi o sviluppando quelli esistenti per cittadini ed imprese;
- Sul piano del management interno per ottimizzare l’allocazione delle risorse, gestire fondi, individuare potenziali frodi e assicurare la sicurezza dell’organizzazione da tutti i punti di vista;
- Supporto al processo di policy making nella ridefinizione delle politiche esistenti o nello sviluppo di nuove.
Conseguentemente, la PA deve essere capace di misurare l’impatto delle proprie azioni, coinvolgendo i cittadini stessi nella definizione degli outcome ottimali attesi, parallelamente garantendo l’accessibilità e la semplicità dei servizi digitali offerti. In questo modo, il sistema pubblico riesce anche ad assumere la guida trasformativa dell’intero ecosistema in cui si inserisce, dettando la rotta di una innovazione sostenibile, accessibile e inclusiva. È una sfida complessa, che passa per una nuova cultura del lavoro e dell’innovazione e per un processo di sviluppo che favorisce formazione e diffusione di conoscenza, coscienza e visione.
L’orientamento al valore creato e alla sua misurazione è, dunque, un elemento necessario e imprescindibile, la principale dimensione strategica, culturale ed organizzativa alla base della creazione di un sistema pubblico post digitale. Altrimenti la cosiddetta innovazione (o digitalizzazione) della PA diventa un processo autoreferenziale, spesso capace di complicare la vita delle persone, anziché migliorarla.
La fattibilità
Comprendere e anticipare le esigenze e trovare soluzioni capaci di generare valore non è però sufficiente, occorre che tali soluzioni siano realizzabili. La loro realizzabilità si misura, come accennato all’inizio, rispetto non solo al grado di maturità della tecnologia, ma anche alla capacità delle persone della PA di erogare tali servizi e dei cittadini di accedervi e saperli fruire.
Internamente alla pubblica amministrazione, è necessario sviluppare le competenze e le capacità dei funzionari in modo da garantire il successo di tali soluzioni, assicurando la coerenza, la qualità e l’equità dei processi. Questo significa cambiare completamente il proprio modello organizzativo, dal reclutamento e lo sviluppo del personale alla completa rivisitazione del modello lavorativo e manageriale. Sicuramente le competenze digitali e sull’IA devono essere diffuse il più possibile all’interno dell’organizzazione[7]. Parallelamente, però, accanto e insieme alle competenze tecniche divengono cruciali anche le soft skills che le tecnologie non possono realmente sostituire e che, tuttavia, caratterizzano il successo di qualunque sistema innovativo: pensiero laterale, problem setting, creatività, empatia, etica, leadership, capacità relazionale e comunicativa. Tutte dimensioni che si sviluppano nell’autonomia e nell’orientamento al servizio e al valore per il cittadino. E, ancora, questo consolidamento di competenze deve essere affiancato da un continuo percorso formativo e di sviluppo che, nella sua radicalità, accompagni le persone verso la ricerca dell’innovazione come normale metodo di lavoro.
Lo sviluppo di competenze deve poi tener conto anche di un altro tema che riguarda tutte le organizzazioni ma che ha un livello di criticità rilevante per le Pubbliche Amministrazioni. L’introduzione di sistemi di algoritmi capaci di sostituire processi complessi deve essere presidiata, controllata e indirizzata, per favorire un loro utilizzo consapevole ed efficace. Lo sviluppo di algoritmi nell’erogazione di servizi (o anche semplicemente per fornire informazioni) espone, infatti, al rischio di bias pericolosi. Ne possiamo identificare almeno tre tipologie. La prima riguarda il contesto: semplicemente gli algoritmi non ce l’hanno, non riconoscono o interpretano la cultura in cui sono inseriti, si comportano nello stesso modo in qualunque contesto vengano lanciati, replicando i principi e la cultura in cui sono stati sviluppati. La seconda tipologia riguarda i bias e i pregiudizi dei programmatori che si incorporano naturalmente nell’algoritmo che realizzano. La terza tipologia, infine, riguarda i pregiudizi sociali insiti nei dati: se si basa su tutti i dati storici, senza filtri e considerazioni, l’algoritmo replicherà e potenzierà i pregiudizi e le ingiustizie dei sistemi sociali in cui è inserito. Peraltro, i risultati dell’algoritmo devono essere coerenti con quelli forniti da altri canali più tradizionali cui pure il cittadino può accedere. Allora, diventa fondamentale la supervisione umana sulla qualità, completezza e correttezza dei dati di input e sull’affidabilità, l’efficacia e la desiderabilità degli output dell’uso dell’IA, aprendo a nuove dimensioni professionali, più complesse e impegnative, che aggiungano critica all’utilizzo degli strumenti.
Naturalmente, il carburante essenziale di ogni algoritmo sono i dati, la loro completezza e qualità. Senza è impensabile realizzare questo tipo di innovazione. Un caso interessante è l’esperienza del Danish Refugees Council insieme a IBM, che nel 2019 ha sviluppato “Foresight” – un’IA che, attraverso l’analisi di indicatori economici, climatici, e geopolitici, avrebbe dovuto prevedere spostamenti forzati su larga scala, consentendo ai governi e alle organizzazioni umanitarie di rispondere prima e in modo più efficiente. Questo progetto ha fallito i suoi scopi in Afghanistan e Myanmar perché i dati disponibili sui quali l’algoritmo basava le sue predizioni non erano sufficiente a catturare l’effettiva complessità della situazione reale[8].
Naturalmente, non basta che la PA riesca a presidiare le competenze sufficienti a garantire l’erogazione dei servizi, per generare valore, le soluzioni devono essere accessibili e utilizzabili dai cittadini. Altrimenti potrebbero diventare una pericolosa barriera all’accesso. L’amministrazione, oltre a tener conto della cultura informatica e digitale del contesto in cui opera, può comunque anche essa stessa farsi carico di abbattere le barriere tecniche, economiche e culturali all’adozione delle proprie soluzioni, diffondendo, parallelamente una maggiore competenza ed apertura verso la fruizione di servizi digitali, favorendo così la diffusione della capacità innovativa e riducendo la resistenza al cambiamento.
Conclusioni
L’adozione dell’IA nei processi organizzativi non è un’opzione, ma una scelta necessaria che tuttavia va perseguita all’interno di un disegno strategico ed organizzativo consapevole, che sia orientato a creare valore per i cittadini e le imprese.
Scegliendo di assumere un modello come quello del Post-digital Government, il sistema pubblico decide di assumere la guida trasformativa dell’intero ecosistema in cui si inserisce, dettando la rotta di una innovazione sostenibile, accessibile e inclusiva.
Per questo non si tratta di decidere quali strumenti tecnologici adottare, quanto piuttosto quale rivoluzione culturale l’organizzazione è pronta a intraprendere. È una sfida complessa, che passa per una nuova cultura del lavoro e dell’innovazione e per un processo di sviluppo che favorisce formazione e diffusione di conoscenza, coscienza e visione, leadership, ma è anche l’unica strada per rimanere competitivi come sistema.
[1] L’AI più “tradizionale” basata sul machine learning consente di estrarre informazioni dai dati. L’AI Generativa è in grado di rappresentare in modo originale e complesso le informazioni. La combinazione delle due è la miscela che rende radicale la trasformazione in atto.
[2] D. LACHECA, «Post-digital Government: Rethinking Technology’s Role in Government», Gartner (2023).
[3] OECD – PES-Digital-Oct2021-Estonia e Public Sector Tech Watch | Joinup (europa.eu)
[4] D. ALIPERTO, “E-health 4.0, i chatbot al servizio delle unità di diagnosi” Corriere Comunicazioni, 2020.
[5] Tassinari C. (2023), “’Robotto”, il drone che viene dalla Danimarca: con intelligenza artificiale anti incendio”, Euronews.
[6] van Noordt C., Misuraca G. (2022), “Artificial intelligence for the public sector: results of landscaping the use of AI in government across the European Union”, Government Information Quarterly, Vol. 39, Issue 3.
[7] Si tratta a ben vedere di un tema più generale che riguarda il mondo del lavoro. Già oggi le competenze digitali sono diventate la base per qualunque professione (del presente e del futuro) e devono necessariamente trovare il loro spazio in tutti i percorsi formativi (tecnici e umanistici), non rimanendo confinate nelle discipline scientifiche. In un mondo in cui il digitale ha smesso di essere una materia ed è diventato una lingua, non possiamo più immaginare, ad esempio, di formare avvocati che non conoscono il funzionamento di blockchain, smart contract e algoritmi di intelligenza artificiale. Così come le professioni psicologiche, filosofiche e sociologiche non possono prescindere dall’impatto dell’utilizzo dello strumento tecnologico nell’ambito dei loro studi e delle loro professioni.
[8] Columbro D., «Se anche l’Onu sfrutta l’intelligenza artificiale per gestire crisi umanitarie (pure a Gaza)», La Stampa, 2021.