In un articolo dell’Harvard Business Review, viene evidenziato come le imprese americane abbiano registrato un sensibile aumento del tasso di dimissioni volontarie dei propri dipendenti tra i 30 e 45 anni, con un incremento di oltre il 20% tra il 2020 e il 2021.
É un tema noto, ma forse l’analisi dei dati può aiutarci non solo a comprendere il fenomeno, ma anche a intervenire.
La percentuale in esame proviene dall’analisi “Who Is Driving the Great Resignation?”, che ha esaminato i dati di oltre 9 milioni di lavoratori in 4000 aziende. Per Ian Cook, curatore dell’indagine, i motivi sono riconducibili a due aspetti: il primo riguarda l’età, perché quella specifica fascia di professionisti ha probabilmente accumulato un’esperienza tale da rendere meno critica la ricerca di un nuovo impiego. Il secondo è legato alla pandemia, che ha fatto rinviare la decisione di lasciare il proprio lavoro, posticipandola alla fine dell’emergenza.
Secondo Cook, le organizzazioni hanno bisogno di adottare un approccio data-driven, ovvero guidato dai dati. Questi ultimi vanno visti come un pilastro strategico del business: una volta individuati è necessario aggregarli e analizzarli per avere informazioni significative che possono guidare le decisioni da intraprendere. Ma cosa significa per un’organizzazione essere data-driven?
Ovviamente, questo dipende dalla prospettiva che si intende indagare. Se pensiamo agli incentivi verso i dipendenti potrebbe significare comprendere quanto impattino le dimissioni sul fatturato e sulla produttività dell’azienda, in modo da misurare più accuratamente il costo che ne deriva. Significherebbe poi identificare i motivi alla radice del problema. Analizzare metriche come il tempo tra le promozioni, l’entità degli aumenti salariali o le opportunità di formazione, può aiutare a scoprire tendenze e punti ciechi all’interno dell’organizzazione. Sono diverse le realtà che tentato la strada dell’incentivo economico, come Amazon, che prima di Natale ha dato ai propri dipendenti un bonus di 3000 dollari, oppure Walmart, che ha deciso di incrementare il salario minimo, passando dalla retribuzione oraria di 7,25 dollari a 12 dollari.
Ma l’incentivo economico non basta. Occorre considerare una dimensione fondamentale dell’azione umana, importantissima anche nel lavoro: la motivazione intrinseca. É questa la dimensione che, più di tutte, andrebbe esplicitamente analizzata. La motivazione intrinseca è quella che ci spinge ad agire per il piacere di farlo, per curiosità, passione, piacere. Ci spinge a lavorare perché ci piace quello che facciamo e non per gli incentivi (economici, sociali, aziendali) che ci vengono dati. La motivazione intrinseca è la base della creatività, del pensiero laterale, dell’innovazione.
La buona notizia è che possiamo misurare anche il livello di motivazione intrinseca delle persone nella nostra organizzazione. Il modello migliore rimane quello di Mihaly (“Mike”) Csikszentmihalyi che ci spiega, attraverso un’analisi dello stato psicologico delle persone, come sia possibile raggiungere lo stato del “Flow” una condizione ottimale in cui tutto si svolge in perfetta armonia e siamo liberi di vivere le nostre esperienze senza condizionamenti esterni.
Per raggiungere tale stato bisogna partire da due precondizioni: percezione di un alto livello di sfida nello svolgere una determinata attività lavorativa e capacità e abilità per poterla affrontare. Anche le aree dell’apprendimento, del controllo, e tutto quello che presuppone l’attivazione di competenze nuove o sviluppo di competenze esistenti favorisce positivamente il comportamento organizzativo.
Esistono modelli, strumenti e piattaforme che ci aiutano a “mappare” in questo senso lo stato psicologico della nostra organizzazione.
É questa l’altra dimensione di analisi data-driven da aggiungere a tutti gli altri aspetti di cui abbiamo parlato. Costruire un’organizzazione finalizzata a favorire la felicità di chi ci lavora è un elemento necessario per garantire la competitività. La tecnologia e i dati ci aiutano in questo senso, anche a creare un ambiente in cui le persone che danno un valore aggiunto sono felici di restare e si sentono utili ad una causa in cui credono, capaci e competenti, autonomi di decidere come, dove, quando e con chi lavorare ai progetti, per raggiungere gli obiettivi affidati.
E poi, d’altronde, questi non sono i principi guida dell’organizzazione umanocentrica, dove le persone, con la propria storia, le proprie competenze e la propria motivazione sono il fattore determinante per il successo, la crescita, l’innovazione?
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