Ogni Pillo(w)la ha la sua “copertina”   

Nella quinta Pillo(w)la approfondiamo i differenti impatti che l’IA avrà sul mercato del lavoro, in termini di complementarità ed esposizione. La copertina raffigura, quindi, Generadiva – la supereorina che simboleggia l’IA generativa – che sprigiona i suoi poteri verso diverse professioni – qui rappresentate dal medico, l’avvocato e l’insegnante – con lo scopo di offrire nuovi strumenti. L’obiettivo è quello di evidenziare come la tecnologia possa integrarsi pienamente con il capitale umano 

Quali saranno gli impatti dell’Intelligenza Artificiale sul mondo del lavoro? 

Le Intelligenze Artificiali – e la tecnologia in generale – stanno invadendo il mercato del lavoro che, nei prossimi anni, subirà una serie di cambiamenti significativi, rivoluzionando interi settori, professioni e mansioni.  

La rivoluzione tecnologica in atto, rispetto alle precedenti, è diversa per tre motivi: l’IA è in grado di espandere in maniera significativa la gamma di compiti che possono essere automatizzati; questa tecnologia può essere applicata in tutti i settori e professioni; l’innovazione e lo sviluppo degli algoritmi stanno procedendo molto più velocemente rispetto al passato.  

Le Intelligenze Artificiali stanno entrando nel mondo del lavoro in due modi: da un lato, sostituendosi alle persone – specialmente nei processi che la tecnologia può svolgere in maniera più rapida, efficiente e produttiva – dall’altro, gestendo flussi decisionali e creativi – ad esempio, generando contenuti, immagini, etc.- in modo sempre più simile a come lo farebbero le persone.  

Già da questa premessa siamo in grado di dedurre che la rivoluzione dell’IA generativa sul mondo del lavoro sarà dirompente. Ma qual è il possibile impatto finale? Al momento, non siamo in grado di rispondere con certezza; possiamo, però, utilizzare il modello di Edward Felten [1] per prevedere quali saranno le professioni che subiranno più cambiamenti.  

L’approccio di Felten ha lo scopo di stabilire il grado di esposizione di una professione all’IA, basandosi sulle abilità prettamente umane utilizzate nelle singole posizioni lavorative e misurandone il grado di relazione con l’Intelligenza Artificiale. È bene specificare che, secondo il modello dello studioso, con il concetto di esposizione non si vuole intendere una sostituzione, bensì un rapporto di complementarità tra lavoratore e tecnologia.  

Il modello si basa su due indicatori: l’esposizione all’IA e il potenziale di complementarità. Il primo indice misura il grado di sovrapposizione tra le abilità dell’Intelligenza Artificiale e quelle umane nelle diverse occupazioni; inoltre, permette di classificare le professioni in tre gruppi: molto esposte (high exposed), mediamente esposte (middle exposed) e poco esposte (low exposed). Il potenziale di complementarità, invece, misura la protezione delle professioni dall’impatto dell’IA sulla specifica posizione lavorativa e indica i fattori di schermatura, come il contesto sociale, etico e fisico e i livelli di abilità richiesti dalle occupazioni.  

Vediamo qualche esempio per comprendere meglio come interpretare gli indicatori. Le professioni come avvocati,  giudici, chirurghi e piloti registrano sia un’alta esposizione alle Intelligenze Artificiali sia un livello elevato di complementarità: ciò significa che le mansioni da loro svolte potrebbero facilmente integrare e sfruttare l’IA per migliorare la produttività. Gli operatori di telemarketing, invece, nonostante registrino un’elevata esposizione, come le professioni appena descritte, mostrano una complementarità molto bassa: infatti, molte delle loro attività possono essere facilmente sostituite dalle Intelligenze Artificiali. [2] 

Inoltre, i lavoratori più giovani tendono ad avere una minore esposizione all’IA rispetto a quelli in età più avanzata e, qualora ricoprano ruoli ad alta esposizione, possono essere anche più suscettibili ai potenziali impatti negativi dovuti all’adozione delle Intelligenze Artificiali. [2] 

Emerge, poi, che i lavoratori con una laurea – o livelli di istruzione ancora più alti – possono beneficiare maggiormente dell’IA rispetto a coloro che hanno una licenza di scuola media o inferiore. Al contrario, se consideriamo il livello di esposizione all’IA, i laureati risultano più esposti rispetto ai lavoratori con un livello di istruzione inferiore: infatti coloro che possiedono un diploma di scuola superiore – o inferiore – svolgono prevalentemente mansioni elementari, dove l’esposizione è significativamente ridotta. [2] 

Per quanto riguarda le donne si registra una maggiore esposizione all’IA, ma al tempo stesso una maggiore suscettibilità ai potenziali impatti negativi derivanti dall’adozione di tali tecnologie: ciò è dovuto alla crescente rappresentanza delle donne in lavori d’ufficio, una categoria che presenta un maggior rischio di sostituzione a seguito dell’adozione dell’IA. [2] 

In sintesi, possiamo affermare che le professioni che subiranno un impatto maggiore saranno senza dubbio quelle con elevate competenze e di tipo direzionale, in particolar modo in ambito scientifico e ingegneristico: i manager e tutti coloro che si occupano di amministrazione, consulenza e che gestiscono business. Al contrario, le professioni meno esposte saranno – almeno per il momento – quelle appartenenti alla filiera del cibo, dell’agricoltura e dei servizi di pulizia. Ciò non stupisce perché l’Intelligenza Artificiale sta facendo grandi progressi nel campo dei processi elaborativi, decisionali e, soprattutto, di supporto all’analisi. 

Ad oggi, però, i numeri [3] dimostrano che l’atteso impatto dirompente dell’IA sul mercato del lavoro ancora non si è verificato questo perché l’Intelligenza Artificiale ancora non è stata adottata in maniera massiva – con conseguenti guadagni poco significativi –, non sono stati creati nuovi compiti/lavori e non si è arrivati ancora ad una piena automazione dei processi e di ricollocazione dei lavoratori, dove sostituiti dalle macchine.  

In conclusione, per rispondere alla domanda iniziale su quali saranno gli impatti dell’IA sul lavoro, possiamo senza dubbio affermare che alcuni compiti verranno svolti dalle macchine, mentre altri impiegheranno più tempo per essere sostituiti del tutto. Alcuni lavori, però, rimarranno comunque di competenza dell’essere umano: parliamo della creatività, l’etica, la giustizia, il pensiero laterale, l’empatia e tutte quelle capacità che appartengono alle persone. Le competenze, dunque, resteranno umane e si renderà necessario rimanere al passo con la velocità dell’innovazione affinché queste non diventino obsolescenti.  

[1] “OCCUPATIONAL, INDUSTRY, AND GEOGRAPHIC EXPOSURE TO ARTIFICIAL INTELLIGENCE: A NOVEL DATASET AND ITS POTENTIAL USES”, by E. Felten, M. Raj, and R. Seamans, Strategic Management Journal 42 (12), 2195–2217 (2021) 

[2] “LABOR MARKET EXPOSURE TO AI: CROSS-COUNTRY DIFFERENCES AND DISTRIBUTIONAL IMPLICATION.”, by C.Pizzinelli, A. Panton, M. M. Tavares, M. Cazzaniga, and L. Li, IMF Wokring Paper 23/216 (2023) 

[3] “ARTIFICIAL INTELLIGENCE AND JOBS. AN URGENT ACT NEED TO ACT”, OECD Employment Outlook (2023) 

Dai un’occhiata all’intervista:

Per la tua privacy YouTube necessita di una tua approvazione prima di essere caricato.
Ho letto la Privacy Policy ed accetto

Condividi su