Ogni Pillo(w)la ha la sua “copertina” 

Il tema della disoccupazione tecnologica è rappresentato riprendendo una foto iconica del 1932, apparsa sul supplemento domenicale del New York Herald Tribune. Nella nostra rivisitazione, una squadra di operai lavora fianco a fianco ad alcuni robot: quest’ultimi sono colorati rispetto ai lavoratori, disegnati in bianco e nero, a simboleggiare il rischio di sostituzione delle persone con le macchine e, di conseguenza, la perdita di posti di lavoro

Il futuro del lavoro nella quarta rivoluzione industriale: verso una disoccupazione tecnologica?

La sostituzione e la perdita di posti di lavoro a causa dell’innovazione tecnologica e digitale sono una delle preoccupazioni che più toccano la società nel suo complesso. Ma siamo sicuri che la quarta rivoluzione industriale porti necessariamente ad una disoccupazione tecnologica, secondo la quale le macchine sostituiranno del tutto i lavoratori? Gli economisti, nel tentativo di dare una risposta a tale quesito, si dividono in due scuole di pensiero: gli ottimisti e i pessimisti. 

I primi partono dal presupposto che in tutte le precedenti rivoluzioni si è assistito sempre al processo di compensazione: alcuni mestieri sono scomparsi, ma parallelamente ne sono nati di nuovi al passo con la rivoluzione in corso. Questo processo trova fondamento anche grazie al principio microeconomico della “non sazietà” degli esseri umani, secondo il quale è sempre favorita la nascita di nuovi bisogni e desideri.  

Al contrario, i pessimisti ritengono che la frequenza dell’innovazione sia diversa: l’obsolescenza delle competenze arriva molto più velocemente rispetto al passato. Infatti, paradossalmente coloro che escono dal mondo del lavoro, perché sostituiti a causa della rapidità dell’innovazione, non sono in grado di occupare nuovi posti di lavoro al punto che non ci saranno persone che occuperanno le nuove posizioni. Nel frattempo, dunque, si assisterà ad una polarizzazione delle opportunità e molti verranno esclusi.  

Di fronte a questo scenario la soluzione sta nel mantenere una visione “umanocentrica” del lavoro: a fare la differenza saranno dunque le competenze umane, le soft skills e le hard skills 

 

Dai un’occhiata all’intervista:

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